Ho ritrovato qualche giorno fa un articolo che scrissi nel 2013, avevo 23 anni e il termine startup non era mainstream come lo è oggi. Dopo quasi 8 anni è stato bello rileggere i vecchi pensieri ed ho deciso di pubblicarli.
Mi chiamo Marco, ho 23 anni e sono uno sviluppatore. Quando — due anni fa — frequentavo il secondo anno del corso di Tecnologie Web all’università di Udine, ho scoperto il mondo dell’innovazione e delle startup. Ricordo che dopo una lunga lezione di programmazione il nostro professore fece una piccola digressione, proponendoci di partecipare a un evento che si sarebbe tenuto da lì a breve, lo StartCup. Le parole chiave, nemmeno a dirlo, erano idee e innovazione.
Ricordo di essere rimasto estasiato mentre ci veniva spiegato questo nuovo mondo di cui non sapevo nulla. Alla fine della lezione andai, entusiasta, a chiedere maggiori informazioni al professore e il primo consiglio che mi diede fu di iniziare a leggere Wired. Seguendo il suo consiglio, iniziai a seguire regolarmente la rivista.
Ricordo ancora la storia di Netsukuku e quella di Loris Degioanni, il ragazzo di Torino che ora vale 30 milioni di euro. Storie che mi hanno fatto capire che, se c’è la volontà, chiunque può realizzare la propria idea.
“Connects the dots”, diceva Steve Jobs. Oggi mi ritrovo a ripensare a quel momento e penso sia fantastico il modo in cui una piccola discussione sia stata in grado di aprirmi la strada verso questo mondo.
In questi anni ho partecipato a tantissimi eventi, dagli storming pizza agli startup weekend, ho conosciuto moltissime persone, ho vissuto per un periodo in Silicon Valley, ho lavorato a varie startup e ora sono pronto a far nascere e crescere la mia idea. Eppure se due anni fa non si fosse accesa quella piccola scintilla, tutto questo non sarebbe mai accaduto.
Continuo a pensare agli ultimi due anni della mia vita, poi mi guardo attorno e di fronte all’incertezza generazionale che abbraccia ragazzi come me, mi viene da pensare che forse il problema dell’Italia è la mancanza di consapevolezza. Se le persone si rendessero conto delle proprie capacità, capirebbero che il passo da fare per realizzare un’idea è brevissimo. Chissà quante nuove idee nascerebbero!
Un anno fa, una professoressa del corso di Economia mi ha invitato a tenere una conferenza per i suoi studenti. Mi ha chiesto di raccontare la mia esperienza e soprattutto di spiegare loro come muovere i primi passi nel settore startup.
Prima di iniziare ho chiesto: “Chi di voi sa cos’è una startup?” e su settanta ragazzi le mani alzate erano davvero poche. È facile immaginare quanti sapessero cosa fosse un pitch o uno startup weekend: nessuno.
Sono bastate 20 slide e 40 minuti di spiegazione per accendere anche in loro una piccola scintilla. La settimana dopo con alcuni studenti abbiamo partecipato allo storming pizza e ora abbiamo organizzando un pullman per andare tutti insieme allo startup weekend di Torino.
Ho visto in questi ragazzi voglia di fare, di partecipare, di creare, di inventare, di costruire con la propria esperienza qualcosa di concreto e importante. Ho visto in loro la voglia di buttarsi a capofitto in una nuova esperienza, traendone il massimo e facendo di una passione il proprio mestiere.
Negli scorsi giorni mi è capitato di leggere un articolo dal titolo: “I neolaureati non trovano lavoro? tutta colpa delle mamme”. Qui Umberto Malesci, CEO di Fluidmesh, spiega le difficoltà incontrate nell’assumere giovani italiani nella sua startup. Nell’articolo ritiene che la colpa di queste resistenze da parte di brillanti neolaureati sia da imputare un po’ alle mamme, che vorrebbero un posto fisso per i propri figli, e un po’ agli insegnanti delle scuole superiori, che non sanno guidare i loro studenti nel mondo del lavoro.
Io aggiungo che la colpa è anche un po’ nostra, addetti ai lavori del mondo delle startup. Dovremmo impegnarci di più nel cercare di introdurre in modo più diretto gli studenti in questa dimensione, così da accendere anche in loro la passione che li porterà a seguire un sogno che si trasforma in un percorso di vita.
Nel Novembre del 2010 la copertina di Wired recitava “Sveglia Italia!” e Riccardo Luna scriveva nel suo editoriale “Certe cose si fanno oggi perché ci faranno crescere domani”. Magari questa è proprio una di quelle cose.